Pagare il biglietto per vedere le gare, FILIPPO POZZATO

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    Pagare il biglietto per vedere le gare, FILIPPO POZZATO


    Mentre il ciclismo su strada ha iniziato la sua off season da poche settimane, un tema di discussione già affrontato in passato torna alla ribalta tra appassionati e addetti ai lavori. A scatenare il dibattito sono state le parole di Jerome Pineau, ex corridore e team manager, che nel podcast Grand Plateau di RMC Sport ha rilanciato l'idea di far pagare un biglietto per accedere all'Alpe d'Huez in occasione del doppio passaggio al prossimo Tour de France. Nulla di pionieristico in realtà, visto che in Italia c'è qualcuno che utilizza questo modello già da qualche anno. Parliamo della Veneto Classic e nello specifico della salita della Tisa, passaggio simbolo della corsa. La gara fa parte del progetto "Ride The Dreamland" di PP Sport Events, società organizzatrice di molte corse professionistiche in Veneto, fondata da Filippo Pozzato. Ed è proprio con il re della Milano-Sanremo 2006 che abbiamo sviscerato questo tema così discusso e per lui di fondamentale importanza.



    Pagamento in cambio di un servizio


    "Siamo l’unico sport che non ha un biglietto e questo secondo me è il primo grande limite che ha il ciclismo. È giusto far pagare per assistere a una gara, ma ovviamente in cambio devi dare un servizio. Lo spettatore sta ore e ore ad aspettare il passaggio dei corridori per 10 secondi e in un attimo è finito tutto, quindi prima di tutto bisogna cercare di creare questa situazione dove è possibile. Ad esempio l’Alpe d’Huez, che verrà affrontata due volte, va bene. Già ci sarà tanta gente che va, riuscire a creare un intrattenimento maggiore fa sì che la gente possa stare lì tutta la giornata e che non si annoi".

    "Se non facciamo pagare siamo destinati a morire. Le istituzioni hanno sempre meno soldi da investire. Lo vedo nel nostro piccolo, Comuni e Regioni fanno fatica a pagare perché non hanno soldi. Se passa il Giro d’Italia si svuotano le tasche pur di ospitarlo e poi non resta niente sulle gare piccole. Se tu invece cerchi di fare un’economia dove la gara è sostenibile di per sé stessa creando qualcosa all’interno secondo me è vitale in questo momento. In futuro devi andare lì, specialmente sulle corse piccole. Poi è chiaro che lo faranno anche al Tour, al Giro o alla Vuelta, ma sono le uniche realtà che non hanno bisogno di questo per restare in piedi. Fanno già un utile esagerato. Credo che in ogni caso anche per loro sia una soluzione per fare più profitto. Per noi invece serve per sopravvivere".

    Cosa si offre in cambio


    "Bisogna far capire alla gente che è un'esperienza diversa. La cosa che io ho più difficoltà a fare capire è che non è che ricevo dei soldi e me li metto in tasca. La gente ha in cambio un servizio. Nel nostro piccolo, ad esempio noi mettiamo un maxi-schermo per far vedere la gara. Perché te lo faccio pagare? Perché a me ovviamente costa, non posso metterlo gratuitamente. Poi abbiamo tutta la parte di cibo e bevande, di qualità, che gestiamo noi e non diamo in mano a terzi. Sulla Tisa c’è anche un intrattenitore che incita il pubblico e cerca di coinvolgerlo e un dj. Quest’anno avevamo un dj che suona ai concerti di Jovanotti. E abbiamo investito ancora, abbiamo preso una moto che seguisse la corsa per far sì che la diretta ci fosse tutto il giorno, dal chilometro zero, non solamente l’ultima ora e mezza. Quest’anno abbiamo messo anche il parcheggio ed è stato molto apprezzato. Dal centinaio di persone del primo anno siamo arrivati a 720 e il prossimo obiettivo e arrivare a mille. Questo modello l’ho ripreso un po’ dal Giro delle Fiandre. Loro vendono solamente hospitality, vendono solo il biglietto per entrare in queste zone. Io ho cercato di fare una cosa che non fa nessuno in questo momento".

    Le difficoltà incontrate


    "Far pagare un biglietto per una salita, chiudendola sotto e sopra, ha portato non poche difficoltà. Già dal Comune che all’inizio non era d'accordo, dicendo che la strada è pubblica. E poi la gente che non voleva pagare dandomi del classista e sostenendo che voglio fare diventare il ciclismo uno sport per ricchi. Non credo che siano 10 euro a fare la differenza. Anche perché se paghi quelle cifre per andare a vedere una partita di promozione o prima categoria di calcio, perché non puoi pagare lo stesso per vedere i migliori corridori al mondo?". L'obiettivo del futuro


    "Il mio pensiero è far pagare qualcosa non per guadagnare, ma ma per permettermi di abbattere i costi in futuro. È un discorso finanziario ed economico, non di sport. Tu devi far stare in piedi la gara e nel momento in cui i Comuni non ti pagano più cosa facciamo? Saltano le gare? Devo cercare una soluzione per quando ci sarà un momento di difficoltà. Quando mancherà uno sponsor o quant’altro, per essere sostenibile da solo. Il mio sogno è fare una gara in totale sostenibilità. Con il ticketing. Cosa che attualmente è improponibile. Ma anche se vado a guadagnare 10mila, 20mila, 30mila o 50mila euro riesco ad abbattermi i costi. La gara invece di costarmi 300mila euro mi costa 250mila o 280mila. È poco, ma un po’ alla volta fai le grandi cose".

    Qual è il target?


    "Io cerco gente da fuori, che non è appassionata, a cui creo un evento all’interno dell’evento. Non è che me la sono inventata, guardo quello che succede in America e cerco di riportarlo su ciclismo in Europa. Voglio fare appassionare nuove persone alla bicicletta e per farlo serve un lavoro di squadra. Perché poi quest’anno alla gara ho conosciuto dei giovani che mi hanno detto: "Sai che non sono mai andato in bici, ma mi è venuta voglia di comprarne una, voglio andarci. È uno sport figo ed è bello vederlo in questa maniera". Quello è il mio obiettivo. Abbiamo bisogno di nuova gente nel ciclismo. In un mondo dove tutti gli sport sono fighi, la bicicletta è vista un po’ come uno sport del cacchio, purtroppo. Dobbiamo trovare un modo per essere più sexy, più attraenti. Io voglio arrivare ai ragazzi di 25-26 anni, 30 anni. È questo il nostro target".

    La reazione della gente al biglietto


    "All'inizio è stato un disastro. Sono andato lì sul posto a prendermi gli insulti. Il primo anno malissimo, il secondo molto male e il terzo malino. Quest’anno invece molto bene. Vedo che per la prima volta la gente capisce. C'è chi mi ha detto che si è divertito da paura, vivendo un’esperienza completamente diversa, in una bellissima giornata. Altri ragazzi mi hanno incitato a continuare, dicendomi che hanno pagato nulla per lo spettacolo che c’era. Io voglio che ciò che viene percepito dalle persone sia molto più alto del prezzo che è stato pagato. Mi paghi 10 euro? Devi vivere un’esperienza da 40, 50 euro. È il recepito che fa la differenza".

    Il tentativo di introdurre un biglietto al Giro


    "Io sono d’accordo con le parole di Jerome Pineau. Fossi nel Giro o nel Tour, l’avrei fatto già 10 anni fa. Io ci avevo provato al Giro due anni fa, quando c’era stata la tappa di Marostica, ma mi era stato detto che la gente non era pronta. E io ho risposto che se ragioniamo così la gente non sarà mai pronta. Se ti porti dentro 5000 persone, a 10 euro l’uno…comincia a fare due conti. È chiaro che poi non puoi non dare niente in cambio. Sull’Alpe d’Huez deve diventare una festa, la gente deve entrare perché non vuole mancare a un evento così". Aiuto al territorio e guadagno al ciclismo nella sua totalità


    "Io sono andato controcorrente quattro anni fa e mi hanno detto che avrei portato via la gente dal ciclismo, che così non sarebbe andato più nessuno a vedere le corse. Non è vero. Porto un altro cliente, un cliente diverso, che restituisca qualcosa al territorio. Le gare di bici non sono fatte per gli appassionati e basta, servono anche per fare economia sul territorio. Noi nel nostro piccolo con le quattro gare che facciamo da ottobre portiamo più di quattro milioni sul territorio di indotto. Secondo me dobbiamo mettere da parte il romanticismo del ciclismo. Per noi è un lavoro e si lavora per soldi. Facciamo qualcosa in cui tutti quelli dell’ambiente del ciclismo guadagnano di più. Non è che devo guadagnare solo io organizzatore. Sono stato corridore prima e l’ho sempre vista così".
    ​da eurosport















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    #2
    Si tirano la zappa sui piedi. Un conto è un circuito da ripetere più volte, che so i campionati italiani, Europei o Mondiali, un conto è una tappa di una gara in linea dove li vedrai per pochi secondi.
    Ciao

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